Al seguito dei giallorossi, a 4.000 chilometri da Roma.

Cose dell'altro mondo

di Giulio Massimi

Tampere, 170 km da Helsinki. Ma soprattutto 4.000 km. da Roma. E si vedono tutti. Una città di 200.000 abitanti in cui tranquillità, civiltà e discrezione regnano sovrane.
L'apparente distacco con cui si è accolti si trasforma rapidamente in affabilità e disponibilità.
La totale assenza di traffico, una circolazione regolarissima, la grande quantità di parcheggi e un comportamento ineccepibile di chi guida rendono praticamente inutili (e invisibili!) i vigili urbani locali. E rendono, soprattutto per noi romani, questa città quasi incredibile. Ai confini della realtà, come il titolo di una fortunata serie di telefilm. Situazione ambientale che si riflette perfettamente sul comportamento dei tifosi dell'Ilves sugli spalti.
Un modo di vivere lo stadio che ricorda gli anni cinquanta italiani. Incoraggiando e incitando la propria squadra con calore, ma con grande rispetto per gli avversari, ai quali qualche fischio è stato indirizzato solo nel caso di un errore marchiano o degli appoggi al portiere, effettivamente troppo frequenti per una squadra attesa a una prova che mostrasse la superiorità tecnica e tattica del nostro calcio rispetto a quello finlandese.
Tampere (o Tammerfors, secondo la dizione in lingua svedese, che è obbligatoria in tutte le scuole) ha vissuto la partita contro i "miliardari italiani" come l'evento sportivo dell'anno, a dispetto di quanto sosteneva qualche illustre giornalista di casa nostra che prevedeva la totale indifferenza al fatto e poche righe di commento al match il giorno dopo. Pagine intere dedicate a Rudy Voeller (famosissimo qui), al rientrante Carnevale, del quale tutti conoscevano le noie con la giustizia sportiva, e a Giuseppe Giannini e Ruggiero Rizzitelli, la cui assenza veniva interpretata come un atteggiamento di sufficienza nei confronti degli avversari.
Le piazze imbandierate con i vessilli nazionali italiani e finlandesi, i negozi (quante insegne italiane: bene-bene, andiamo!, Pizzeria Rosso...) pieni di richiami alla partita e le domande che ci venivano poste appena si scopriva la nostra provenienza testimoniavano l'attesa e l'interesse per il match.
Grande gioia sugli spalti al gol del polacco Czakon che regalava alle "Linci" (questa è la traduzione di Ilves) un pareggio di grande prestigio. L'orgoglio di essere riusciti (ma ci voleva poco, vista la prestazione della Roma) a non essere umiliati da una grandinata di gol, e di potersi presentare in Italia per la partita di ritorno non come semplici turisti. E, di conseguenza, la parziale delusione dei 200 fedelissimi giallorossi che, giunti quassù grazie all'organizzazione di Nilo Josa e alla Receptour di Nazareno Pea, speravano di assistere a ben altra prestazione da parte dei propri beniamini, messi sicuramente in difficoltà da un campo di misure e condizioni non ottimali e una temperatura glaciale per noi inusuale in questo periodo (in inverno qui si toccano i 35 gradi sotto lo zero!), ma autori comunque di una partita troppo timida e rinunciataria al cospetto della aggressività avversaria.
L'aver raggiunto il gol con estrema facilità al primo vero affondo ha fatto pensare ai giallorossi di poter condurre in porto la vittoria passeggiando. Niente di più sbagliato. La veemente reazione finlandese ha costretto l'improvvisato (e fin troppo difensivo) centrocampo romani sta ad arretrare pesantemente il proprio raggio d'azione e a lasciare isolati e privi di rifornimenti decenti uno spento Voeller e lo scatenato Carnevale, unica nota positiva della partita.
Si rallegra per il risultato forse solo il cassiere della Roma, che spera in una affluenza superiore a quella che si sarebbe registrata nel caso di una larga vittoria giallorossa. I locali salutano con grande simpatia i tifosi romanisti che, infreddoliti ma arricchiti da nuove conoscenze, danno l'addio a una città nella quale probabilmente non avranno mai più occasione di tornare. Tampere. 170 km da Helsinki. Ma soprattutto 4.000 km da Roma.
Si vedono tutti, son cose dell'altro mondo.

Tratto da La Roma novembre 1991

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